mercoledì 22 gennaio 2014

Le Thirdy Party Ownership (TPO) e l’art. 18 bis Regolamento Fifa per lo status ed il trasferimento dei calciatori




Al fine di comprendere a pieno l’ostruzionismo manifestato dalla UEFA in ordine alle cosiddette TPO, da ultimo enunciato nella riunione del Comitato Esecutivo Uefa del Dicembre 2012, occorre
dapprima analizzare il meccanismo che sta alla base di tale pratica.
Le Thirdy Party Ownership (TPO, ovvero titolarità di terze parti sul cartellino di un calciatore) rappresentano i diritti sussistenti in capo a società d'investimento, soggetti giuridici terzi rispetto alle società ed ai calciatori, derivanti dall’acquisizione della totalità o di una parte del cartellino del calciatore.
Tale pratica, com’è noto, risulta particolarmente diffusa in Sudamerica, tanto che in Brasile circa l’80-90 % dei calciatori militanti nel campionato di serie A vede una parte del proprio cartellino di proprietà di un fondo d’investimento.
Invero, alcune società non calcistiche, veri e propri fondi d’investimento partecipati spesso da più persone, acquistano una percentuale del cartellino di un calciatore – spesso giovane e poco conosciuto – nella speranza che tale giocatore possa crescere ed affermarsi come professionista, al solo dichiarato fine di ottenere un guadagno non appena lo stesso accederà a campionati economicamente più “redditizi”. E’ ovvio che tale sistema facilita, anzi incentiva, il continuo cambio di casacca da parte del calciatore, poiché maggiore è il numero di trasferimenti che lo vedono protagonista, maggiore sarà il profitto per i proprietari del suo cartellino.
Se ora il modus operandi sotteso a tale pratica appare più chiaro, va illustrato il motivo per cui la Uefa abbia assunto sulla vicenda una posizione netta, evidentemente contraria al fatto che il cartellino di un calciatore possa essere di proprietà di soggetti terzi.
In linea di primo conto, le TPO violano il dettato di cui all’art. 18 bis Regolamento Fifa per lo status ed il trasferimento dei calciatori che dispone, al comma 1, “Nessuna società può stipulare contratti che permettano a qualsiasi altra parte che figuri all’interno del contratto o a terzi di acquisire la capacità di influire sui rapporti di lavoro e sulle questioni relative ai trasferimenti, sulla sua autonomia sulle scelte politiche o sull’attività della propria squadra”.
Letta la disposizione, appare incontestabile che i diritti vantati da terze parti sul cartellino di un calciatore vadano ad influire senz’altro sulle questioni relative ai trasferimenti e all’attività della squadra di appartenenza dello stesso, poiché incidono sull'indipendenza e l’autonomia decisionale della compagine di appartenenza.
In altri termini, le istituzioni calcistiche temono che la finalità esclusivamente finanziaria delle TPO possa alterare sia lo sviluppo dei giocatori, sia le trattative di mercato, sia le compravendite, senza considerare gli aspetti inerenti la possibilità di riciclaggio di denaro di altre parti mediante investimenti non proprio trasparenti.
Vero è, d’altro canto, che attraverso tale pratica i club calcistici avrebbero un esborso finanziario contenuto, oltre ad un minore costo per ammortamento, con ciò potendo quindi generare un doppio beneficio consistente nel maggior utile di esercizio e nel contempo una maggiore disponibilità di risorse da impiegare.
E’ auspicabile, dunque, che al più presto le istituzioni a ciò preposte adottino e facciano rispettare una linea che sia conforme a tutte le federazioni del mondo, tenendo a mente la filosofia economica e sportiva tracciata dal tanto invocato fair play finanziario.


Avv. Nicola Schellino




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