Al fine di comprendere a pieno
l’ostruzionismo manifestato dalla UEFA in ordine alle cosiddette
TPO, da ultimo enunciato nella riunione del Comitato Esecutivo Uefa
del Dicembre 2012, occorre
dapprima analizzare il meccanismo che sta alla base di tale pratica.
dapprima analizzare il meccanismo che sta alla base di tale pratica.
Le Thirdy Party Ownership (TPO,
ovvero titolarità di terze parti sul cartellino di un calciatore)
rappresentano i diritti sussistenti in capo a società
d'investimento, soggetti giuridici terzi rispetto alle società ed ai
calciatori, derivanti dall’acquisizione della totalità o di una
parte del cartellino del calciatore.
Tale pratica, com’è noto,
risulta particolarmente diffusa in Sudamerica, tanto che in Brasile
circa l’80-90 % dei calciatori militanti nel campionato di serie A
vede una parte del proprio cartellino di proprietà di un fondo
d’investimento.
Invero, alcune società non
calcistiche, veri e propri fondi d’investimento partecipati spesso
da più persone, acquistano una percentuale del cartellino di un
calciatore – spesso giovane e poco conosciuto – nella speranza
che tale giocatore possa crescere ed affermarsi come professionista,
al solo dichiarato fine di ottenere un guadagno non appena lo stesso
accederà a campionati economicamente più “redditizi”. E’
ovvio che tale sistema facilita, anzi incentiva, il continuo cambio
di casacca da parte del calciatore, poiché maggiore è il numero di
trasferimenti che lo vedono protagonista, maggiore sarà il profitto
per i proprietari del suo cartellino.
Se ora il modus operandi
sotteso a tale pratica appare più chiaro, va illustrato il motivo
per cui la Uefa abbia assunto sulla vicenda una posizione netta,
evidentemente contraria al fatto che il cartellino di un calciatore
possa essere di proprietà di soggetti terzi.
In linea di primo conto, le TPO
violano il dettato di cui all’art. 18 bis Regolamento Fifa per lo
status ed il trasferimento dei calciatori che dispone, al comma 1,
“Nessuna società può stipulare contratti che permettano a
qualsiasi altra parte che figuri all’interno del contratto o a
terzi di acquisire la capacità di influire sui rapporti di lavoro e
sulle questioni relative ai trasferimenti, sulla sua autonomia sulle
scelte politiche o sull’attività della propria squadra”.
Letta la disposizione, appare
incontestabile che i diritti vantati da terze parti sul cartellino di
un calciatore vadano ad influire senz’altro sulle questioni
relative ai trasferimenti e all’attività della squadra di
appartenenza dello stesso, poiché incidono sull'indipendenza e
l’autonomia decisionale della compagine di appartenenza.
In altri termini, le istituzioni
calcistiche temono che la finalità esclusivamente finanziaria delle
TPO possa alterare sia lo sviluppo dei giocatori, sia le trattative
di mercato, sia le compravendite, senza considerare gli aspetti
inerenti la possibilità di riciclaggio di denaro di altre parti
mediante investimenti non proprio trasparenti.
Vero è, d’altro canto, che
attraverso tale pratica i club calcistici avrebbero un esborso
finanziario contenuto, oltre ad un minore costo per ammortamento, con
ciò potendo quindi generare un doppio beneficio consistente nel
maggior utile di esercizio e nel contempo una maggiore disponibilità
di risorse da impiegare.
E’ auspicabile, dunque, che al
più presto le istituzioni a ciò preposte adottino e facciano
rispettare una linea che sia conforme a tutte le federazioni del
mondo, tenendo a mente la filosofia economica e sportiva tracciata
dal tanto invocato fair play finanziario.
Avv. Nicola Schellino
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