L’impatto delle motivazioni
contenute nella sentenza di recente resa dal Tribunale Civile di
Verbania
in sede di appello, in merito alla legittimità del vincolo
sportivo nei dilettanti, è stato così forte che il Presidente della
FIGC – Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli, procederà a
richiedere l’intervento del CONI ed affronterà la questione
internamente alla stessa FIGC.
Prima di tutto, però, è
opportuno sgomberare il campo da equivoci potenzialmente derivanti da
facili strumentalizzazioni.
La sentenza resa dal Tribunale
Civile di Verbania, ai sensi del codice civile, una volta passata in
giudicato, fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o
aventi causa.
In altre parole, la statuizione
espressa dal predetto Tribunale non può riverberare sic et
simpliciter i suoi effetti in favore di coloro che si trovino
nella medesima situazione di fatto dell’attore in giudizio,
risultato vincitore della querelle giudiziaria, ma è produttiva di
effetti solo ed esclusivamente nei confronti delle parti coinvolte.
Dichiarare - come purtroppo ho
letto - a chiare lettere “nullo” un qualsiasi contratto sportivo
siglato dai genitori e contenente un vincolo a carico del minore sino
ai 25 anni di età, senza specificare quanto sopra premesso, a mio
avviso rischia di distorcere la realtà dei fatti, prim’ancora che
stravolgere un principio codicistico, ed ingenerare di conseguenza
false e facili aspettative in capo a ragazzi e famiglie.
Ciò non toglie che la portata di
tale sentenza, o meglio, della motivazione incidentalmente fornita
dal Tribunale di Verbania, apra scenari fino a poco tempo fa
difficilmente pronosticabili, nonostante l’azione giudiziale
intentata dal padre – azione di natura esclusivamente civilistica -
abbia avuto ad oggetto la restituzione della somma indebitamente
consegnata all’associazione calcistica per ottenere lo svincolo e
non la condotta illecita posta in essere dal dirigente
dell’associazione.
Nel 2012, la Virtus Villa, squadra
per cui è tesserato il sedicenne Alessandro Balducci, decide di non
iscriversi al campionato di appartenenza.
Il ragazzo avanza quindi richiesta
alla società per ottenere lo svincolo (presumibilmente ex art. 108
NOIF) ma si sente rispondere che per vedersi restituire il cartellino
avrebbe dovuto corrispondere una somma di denaro peri ad euro 1.500
(va segnalato che in situazioni di tale genere non è dato
comprendere quale sia il reale soggetto beneficiario della somma,
visto che accade non così raramente che tale denaro vada a
rimpinguare direttamente le tasche del dirigente sportivo di turno,
senza sfiorare le casse societarie). Il padre, pur resosi conto che
la condotta del dirigente non è proprio conforme ai principi di
giustizia sportiva - per usare un eufemismo - consegna la somma di
denaro richiesta al solo fine di consentire al figlio di poter
continuare a giocare a calcio in un’altra società.
Dopodiché, lo stesso padre decide
di promuovere una causa civile avanti il Giudice di Pace di
Domodossola, avv. Crapanzano (il Giudice di Pace è competente per
materia in tutte le vertenze aventi ad oggetto una somma di denaro
inferiore ad euro 5.000 ndr) che viene impugnata avanti il Tribunale
di Verbania. Quest’ultimo, in qualità di giudice di appello,
condanna la società sportiva a restituire alla famiglia del
calciatore la somma indebitamente ottenuta ed a rifondere le spese di
lite sostenute dalla famiglia sia in primo che in secondo grado.
Di certo, la portata della
motivazione della sentenza, che riconosce come non valido un
contratto – pur sottoscritto dai genitori - che vincoli un minore
fino all’età di 25 anni, obbligando quindi nel caso di specie
l’associazione sportiva a restituire la somma ottenuta per
svincolare il ragazzo, potrebbe consentire il moltiplicarsi degli
atti di citazione avanti al Giudice di Pace od al Tribunale (in base
alla somma versata) territorialmente competente per ottenere la
restituzione della somma corrisposta alla società sportiva in cambio
dello svincolo.
Naturale che, per ottenere una
pronuncia di favore in sede giudiziaria, l’attore in giudizio dovrà
necessariamente provare l’intervenuta dazione di denaro.
Detto questo, allargando il
discorso, il problema concreto della realtà calcistica dilettante, a
mio avviso, non sta tanto nella possibilità che taluno possa adire
le vie giudiziali per poter ottenere la restituzione di quanto
indebitamente versato, ma piuttosto nel fatto che tale somma venga
richiesta dalle società alla stregua di prassi invalsa e che il
genitore, volente o nolente, si trovi costretto a versarla.
Ritengo che le istituzioni
dovrebbero concentrare i loro sforzi principalmente per prevenire
simili condotte da parte delle società che, in taluni frangenti,
giungono addirittura ad assumere profili di rilevanza penale, per
tacere ovviamente delle evidenti e ripetute violazioni del Codice di
Giustizia Sportiva.
In conclusione, dunque, la
sentenza resa dal Tribunale Civile non condanna la richiesta di
denaro posta in essere dal dirigente ma piuttosto pone in evidenza
che tale corresponsione non aveva ragion d’essere perché avvenuta
con riferimento ad un contratto privo di validità giuridica
dall’origine.
In attesa di prese di posizione da
parte della Lega Nazionale Dilettanti, le famiglie che si trovano in
circostanze analoghe, avendo versato somme di denaro alle società
per vedersi svincolare il proprio figlio, potranno dunque adire le
vie giudiziali facendosi forti della sentenza resa dal Tribunale di
Verbania, pur consci che il Giudice investito della questione potrà
liberamente rigettare le richieste, discostandosi per qualunque
ragione dalle motivazioni addotte dal richiamato Tribunale
piemontese.
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