Procedendo con l’analisi della
clausola compromissoria di cui all’art. 30, co. 2 Statuto Federale
F.I.G.C., è opportuno ora approfondire questione quanto mai attuale,
concernente la possibilità da parte di un tesserato di adire la
giurisdizione statale, in particolar modo qualora egli sia persona
offesa da un reato.
Avendo in precedenza già
analizzato la normativa in materia, al fine di far luce sulla vexata
quaestio, occorre osservarne l’applicazione giurisprudenziale
ed i limiti in specie posti.
Una tra le pronunce più
dirimenti in materia è senza dubbio costituita dal parere della
Corte Federale della F.I.G.C., pubblicato su C.U. n. 5/CF del
23/04/1996.
In estrema sintesi, tale
fattispecie riguardava un calciatore che, colpito da un avversario
nel tunnel di accesso agli spogliatoi, aveva chiesto l'autorizzazione
ad adire le vie legali in deroga al cd. “vincolo di giustizia”,
autorizzazione negata dal Presidente Federale. Nel contempo, però,
il violento aggressore veniva condannato in sede penale per il reato
di lesioni personali di tal ché la persona offesa ricorreva avanti
il Tribunale in sede civile per ottenere il risarcimento del danno
patito.
Tale scelta causava l’immediata
instaurazione di giudizio disciplinare da parte della Procura
Federale per violazione dell'art. 24 (poi divenuto art. 27, oggi
art. 30) dello Statuto. La Corte Federale, cui era stata richiesta
l’interpretazione autentica della norma, concludeva evidenziando
che la violazione del così detto “vincolo di giustizia” era da
considerarsi esclusa soltanto nelle ipotesi in cui fossero stati
denunciati fatti di rilevanza penale procedibili d'ufficio, in
relazione ai quali non può dirsi sussistente il contrasto tra
l'ordinamento statuale e quello federale.
Nel periodo successivo
all’emissione di tale pronuncia, i giudizi disciplinari si
rivelavano particolarmente incerti nell’esito.
La svolta successiva intervenne ad
opera degli organi di giustizia costituiti presso il C.O.N.I., i
quali, dalla metà degli anni 2000, iniziarono ad occuparsi con
frequenza del sindacato circa le decisioni emesse dagli organi di
giustizia endofederali.
In particolare, la Camera di
Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il C.O.N.I., prima, ed
il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il C.O.N.I.,
poi, hanno fornito una lettura ancor più elastica ed ampio del cd.
“vincolo di giustizia”, giungendo ad escludere dal divieto tutte
le fattispecie aventi rilevanza penale, indipendentemente dalla loro
procedibilità d’ufficio (denuncia ed esposto) o su impulso di
parte (querela).
Sul punto, una fondamentale
pronuncia è costituita dal lodo del 16 marzo 2009 (Setten /
F.I.G.C.), con cui la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo
Sport del C.O.N.I. ha statuito che “la materia penale, infatti,
è da ritenersi certamente sottratta alla giurisdizione domestica del
diritto sportivo, che è priva di potestas iudicandi; e pertanto non
ha nessun strumento coercitivo per offrire e garantire una tutela
[…]; se la materia penale è sottratta alla cognizione degli organi
federali non si spiega l’esigenza, o addirittura l’obbligo, di
richiedere a essi l’autorizzazione a rivolgersi al giudice
ordinario: subordinare l’esercizio dell’azione penale
all’autorizzazione del Consiglio Federale vorrebbe dire porsi in
contrasto con i principi di uno Stato costituzionale, come
chiaramente esplicitati agli artt. 24 e 25 Cost. L’art. 30 comma
2°, dello Statuto Figc, che disciplina il “vincolo di giustizia”,
mantiene intatta tutta la sua portata e validità nell’ambito
dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, riconosciuto e favorito
dalla Repubblica, ma si infrange laddove impatta con la materia
penale, e quindi con reati che, a prescindere dalla loro azionabilità
per querela di parte o di ufficio, impongono l’intervento esclusivo
del giudice ordinario”.
Il richiamato orientamento è
stato successivamente ribadito dal Tribunale Nazionale di Arbitrato
per lo Sport, che, con lodo del 4 ottobre 2010 (Andrea Guerra /
F.I.G.C.), ha avvalorato la correttezza dell’orientamento tracciato
con il lodo Setten / F.I.G.C. (conforme anche T.N.A.S - lodo 31 marzo
2011), sancendo che il vincolo di giustizia sportiva “deve
ritenersi circoscritto alle materie conosciute o conoscibili dagli
organi federali, in quanto di competenza della Federazione in forza
di norme federali, non potendo, di contro, ritenersi operante ove la
tutela possa essere esercitata esclusivamente in sede penale”.
Ciò precisato, occorre purtroppo
dar atto che l’ormai univoco e consolidato orientamento
giurisprudenziale formatosi in seno agli organi di giustizia
costituiti presso il C.O.N.I. non è stato ancora compiutamente
recepito dalla F.I.G.C., tanto che spesso si ha notizia di
deferimenti a carico di tesserati causati dalla proposizione di
denuncia-querela da parte del tesserato nei confronti di altro
consociato. E’ evidente che tale situazione comporta ingiustificato
pregiudizio in danno dei diritti degli stessi tesserati, i quali si
trovano da una parte nell’impossibilità di ottenere tutela nelle
opportune sedi, non potendo gli organi federali valutare le condotte
penalmente rilevanti ed eventualmente di sanzionarle nei termini di
legge, mentre dall’altro lato, proponendo atto di querela, corrono
il serio rischio di essere immediatamente deferiti dalla Procura
Federale con conseguente instaurazione di procedimento disciplinare.
L’analisi relativa alla asserita
violazione del vincolo di giustizia sportiva esercitata attraverso
proposizione di atto di querela, con specifico riguardo alla
fondatezza dei - purtroppo - conseguenti deferimenti, sarà oggetto
di successiva specifica trattazione da parte del sottoscritto.
Avv. Nicola Schellino
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