Roma 9 ottobre 2014
Interdizione UEFA nei confronti
del Presidente della FIGC: “Ci siamo fatti riconoscere”
(Avv. Massimo Rossetti,
Responsabile dell’Area Giuridico – Legale di Federsupporter)
Si è appreso il 7 ottobre scorso
di un provvedimento UEFA che dichiara ineleggibile per i prossimi
sei mesi l’attuale Presidente della FIGC, Rag. Carlo Tavecchio, nelle Commissioni della stessa UEFA e interdetto a partecipare al primo Congresso di quest’ultima che si terrà nel marzo 2015.
sei mesi l’attuale Presidente della FIGC, Rag. Carlo Tavecchio, nelle Commissioni della stessa UEFA e interdetto a partecipare al primo Congresso di quest’ultima che si terrà nel marzo 2015.
Quanto sopra a seguito delle
dichiarazioni del sunnominato rilasciate il 25 luglio scorso in
occasione della presentazione della sua candidatura alla Presidenza
federale.
Come è noto, allora egli disse:
“L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno
professionalità per farli giocare, noi, invece, diciamo che Optì
Pobà è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca
titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra deve dimostrare
il suo curriculum e il suo pedigree”.
Tali parole apparivano
immediatamente e oggettivamente come un tipico comportamento
discriminatorio, vietato e sanzionato dall’art. 11 del Codice di
Giustizia Sportiva della FIGC, secondo cui “Costituisce
comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito
disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente,
comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore,
religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale
(riferimento successivamente eliminato ndr) o etnica”.
Peraltro, era pressoché scontato,
come, poi, è puntualmente avvenuto, che la condotta del Rag.
Tavecchio sarebbe stata oggetto di inchiesta UEFA, atteso che il
sopra riportato art. 11 altro non era ed è se non il recepimento
nell’ordinamento calcistico nazionale della disciplina della
medesima UEFA (Codice Disciplinare che vieta e sanziona l’insulto
alla dignità umana di una persona o di un gruppo di persone, con
qualsiasi mezzo, anche per motivi legati al colore della pelle, alla
razza, alla religione o all’origine etnica).
Il comune buon senso e un minimo
di prudenza, nonché il rispetto di quei doveri di correttezza,
lealtà e probità che l’ordinamento sportivo solennemente
afferma e prescrive a tutti i tesserati, avrebbero dovuto
sconsigliare il mantenimento di quella candidatura.
E ciò per scongiurare poco
commendevoli e imbarazzanti situazioni che si sarebbero potute
verificare, qualora, sia in sede nazionale sia in sede UEFA, fossero
intervenute decisioni a carico del Rag. Tavecchio successive alla sua
elezione alla Presidenza federale.
In questa ottica Federsupporter,
sin dal 31 luglio scorso, segnalava formalmente alla Procura
federale presso la FIGC e alla Procura Generale dello Sport presso il
CONI (cfr. www.federsupporter.it)
la necessità e urgenza di un pronunciamento sulla delicata
questione.
Pronunciamento tale da evitare
futuri contrasti con pronunciamenti UEFA: sia tenuto conto della
particolare severità in materia della normativa calcistica europea
sia dell’accentuato rigore degli Organi disciplinari della stessa
UEFA nel valutare e giudicare condotte catalogabili come
discriminatorie.
Severità e rigore resi ancor più
probabili, per non dire certi, nel caso in esame, in quanto le
dichiarazioni incriminate provenivano, non da un quivis de populo,
bensì dal Presidente di una Lega nazionale (Lega Dilettanti) e
candidato alla Presidenza di una Federazione calcistica nazionale,
tra le più importanti in Europa: la qual cosa rappresentava una
evidente, notevole aggravante.
Nonostante tutto ciò,
inopinatamente, la Procura federale presso la FIGC il 25
agosto scorso archiviava la vicenda, in maniera lapidaria,
dichiarando che non erano “emersi fatti di rilievo disciplinare
sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo”.
Con lettera aperta del successivo
27 agosto alla Procura Generale dello Sport presso il CONI
(cfr. www.federsupporter.it)
Federsupporter rilevava che la suddetta archiviazione non
appariva rispondente a quanto previsto dal nuovo Codice di Giustizia
Sportiva dello stesso CONI, poiché priva di una, sia pur
succinta, motivazione.
Dire, infatti, che non erano
emersi fatti disciplinarmente rilevanti sotto il profilo oggettivo e
soggettivo è una mera petizione di principio, un puro e semplice
dispositivo, ma non una, sebbene succinta, motivazione, dovendosi
intendere per quest’ultima una, sia pur concisa, esposizione dei
motivi, in fatto e diritto, su cui la decisione è fondata (artt. 132
e 133 CPC, conformi all’art. 111, sesto comma, della Costituzione,
secondo cui “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere
motivati”, nonché in conformità, quale norma di chiusura,
all’art. 2 “Principi del processo sportivo” ,
sesto comma, del nuovo Codice di Giustizia Sportiva del CONI che
stabilisce “Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia
conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del
processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di
informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”).
Per venire ora a quanto stabilito
dall’UEFA nei confronti del Rag. Tavecchio, è necessario,
innanzitutto, dare alla decisione la corretta e appropriata
qualificazione giuridica.
Si tratta di un’applicazione
della pena su richiesta delle parti, comunemente nota come
patteggiamento.
Essa consiste in un accordo tra
accusa e interessato sull’entità della sanzione da irrogare e,
implicitamente, sull’affermazione di colpevolezza dell’interessato
stesso.
A quest’ultimo proposito, mentre
una precedente giurisprudenza era orientata a ritenere che il
patteggiamento costituisse una pronuncia giurisdizionale sui
generis , non catalogabile come di condanna, la successiva
giurisprudenza (Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza n. 17781
del 23 maggio 2006) lo ha equiparato a una sentenza di condanna.
Ciò anche perché l’originario
comma 1 dell’art. 445 CPP è stato sostituito dal comma 1 bis, di
cui all’art. 1, comma 1, lettera a, della legge 12 giugno 2003, n.
134; comma che, con riferimento alla sentenza di patteggiamento,
stabilisce che “salve diverse disposizioni di legge, la sentenza
è equiparata a una pronuncia di condanna”.
A ulteriore conferma di tale
equiparazione, si tenga presente che l’art. 39, comma 2, del
nuovo Codice di Giustizia Sportiva del CONI attribuisce alla
sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta delle
parti la stessa efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare,
quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua
illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha
commesso, della sentenza penale irrevocabile di condanna.
Pertanto, tutti i tentativi in
corso da più parti, anche da organi di informazione, evidentemente
disinformati e disinformatori, di sminuire e sottovalutare
(la notizia e i relativi commenti, salvo qualche rara eccezione, sono
stati e sono relegati solo nelle ultime pagine, con ben poca
evidenza, nonché nei titoli di coda di notiziari radio –
televisivi) l’importanza e la gravità, non tanto e non solo sul
piano delle conseguenze pratiche, quanto, soprattutto, sul piano
etico e dell’immagine complessiva delle nostre Istituzioni
sportive, di quanto stabilito dall’UEFA, dimostra l’insensibilità
e la superficialità nel trattare un argomento del genere.
Quale contrappunto, si è dato e
si dà, invece, ampio spazio e notevole risalto alla querelle
sull’arbitraggio della partita Juventus – Roma del 5 ottobre
scorso, alle dichiarazioni, meglio, anzi, peggio, agli insulti, alle
offese, alle insinuazioni che ne sono seguite e ne seguono (a
proposito, complimenti al Presidente della Roma , Pallotta, il quale,
rara avis, forse perché cittadino americano, dotato di
maggiore cultura e spirito sportivi, con apprezzabili signorilità e
moderazione, ha saputo sottrarsi al becero cimento cui, viceversa,
hanno pensato bene di partecipare, trasversalmente, parlamentari,
all’evidente ricerca di pubblicità e consenso a buon mercato, con
strampalate interrogazioni e interpellanze e inconferenti esposti).
A qualcuno, dunque, è parso e
pare ben poca cosa, sotto il profilo della reputazione e della
dignità del nostro calcio e, direi, senza esagerare, dell’Italia,
che il massimo esponente del suddetto calcio venga escluso per sei
mesi, su una durata complessiva della carica di due anni, dai
consessi calcistici europei.
Ci si accontenta del fatto che il
Rag. Tavecchio possa continuare a operare nell’ambito della FIGC e
che possa (udite, udite) accompagnare e rappresentare la nostra
Nazionale di calcio anche all’estero.
Si consolerà, potendo godere
dell’affettuosa compagnia del suo alter ego , del suo
mentore, del suo Grande Elettore, del suo difensore d’ufficio, di
quel “guerriero” del quale, come in un famoso film giapponese,
egli rappresenta “l’ombra”.
Di colui il quale, senza, a
quanto consta, aver ricevuto alcuna specifica delega in tal
senso, con decisione del Consiglio federale, pubblicata mediante
Comunicato ufficiale, firmato dal Presidente e dal Segretario della
FIGC (art. 27, comma 5, dello Statuto e art. 13, comma 1, delle
NOIF), si è autoattribuito anche l’incarico di seguire, quale
Consigliere federale, l’attività e le prestazioni della suddetta
Nazionale.
Di colui il quale, altresì, anche
in questa occasione, non ha fatto mancare il suo commento, replicando
a chi, giustamente, ha azzardato l’ipotesi di un “passo
indietro”, sebbene tardivo, del Rag. Tavecchio, “Non c’è
alcun vulnus per il calcio italiano, e le mistificazioni e
strumentalizzazioni non sortiranno effetto”.
Si capisce, che “vulnus”
volete che sia che il massimo esponente del calcio italiano
rimanga estromesso per sei mesi dai massimi consessi del calcio
europeo ? Ma chi se ne frega ! E’, poi, le “mistificazioni e
le strumentalizzazioni” (quali ? Da parte di chi ? Forse del
solito complotto “demo – pluto – massonico – giudaico
internazionale ? Della “Spectre” ? Dell’Isis ? ndr) non
avranno effetto”.
Che non “avranno effetto”
non è da dubitare, considerato che il nostro calcio, ormai da
tempo, ci ha abituato a mostrarsi del tutto tetragono al rispetto
di ogni regola, in specie di quella che imporrebbe ai propri
consociati l’osservanza dei doveri, prima etico – morali che
giuridici, di correttezza, lealtà e probità.
Per concludere, a me tutta questa
– triste – vicenda fa tornare alla memoria quella battuta del
grande Alberto Sordi nel film del 1966 “Fumo di Londra” ,
il quale, a nostri connazionali maleducati in visita nella Capitale
britannica, diceva “Non facciamoci riconoscere”.
Ecco, anche questa volta,
viceversa, “Ci siamo fatti riconoscere”.
Avv. Massimo Rossetti
tratto da:
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