mercoledì 27 agosto 2014

Scouting oggi. Come si lavora in Serie A.



Gli osservatori sono un po’ agenti segreti, un po’ antropologi, un po’ giocatori d’azzardo. Nel mondo degli stereotipi vivono su un aereo e passano il sabato pomeriggio nascosti dietro un albero per spiare un trequartista peruviano. In realtà sì, viaggiano… ma più spesso collezionano ore davanti a un televisore, dove guardano partite come Inter-Turku Mariehamn e Sparta Praga-Slovan Liberec, il film d’essai applicato al calcio. 
Nella Serie A della crisi, gli scout sono 124 (più o meno) ma rappresentano una risorsa perché costano il giusto e, se fanno il loro lavoro, producono plusvalenze. Dieci anni fa le grandi andavano e compravano: alto potere d’acquisto, alto il livello dei calciatori trattabili. Oggi Di Maria guarda l’Italia solo quando deve prenotare le vacanze, quindi il gruppo degli osservatori acquista importanza, diventa centrale per arrivare a giocatori meno cari ma con più margine di crescita. L’aspetto interessante è che i nostri club seguono strategie opposte, come nelle gare di Coppa America: una barca tutta a destra, l’altra tutta a sinistra. L’Udinese si è costruita l’immagine di club che vive di scouting, mentre la Lazio ha zero-osservatori-zero. Sembra un paradosso perché, grazie a prontezza e rapporto con gli agenti, ha preso Keita, Tounkara, Perea.   
Estate 2014 - Inter, Milan e Chievo nel passato recente hanno tagliato le spese. Le milanesi avevano una ventina di osservatori? Li hanno dimezzati, mentre il Chievo è passato da 16 a 8. Non sempre però ridurre significa peggiorare. «Nel mio gruppo di lavoro preferisco avere poche persone ma di fiducia – dice un direttore sportivo di A -. L’importante è decidere in fretta, più osservatori farebbero solo più confusione. Io voglio scout che mi segnalino un giocatore e abbiano il coraggio di richiamarmi due, tre, quattro volte per convincermi a fare un’offerta». Troppo facile suggerire e scomparire. L’Inter ha scelto Massimiliano Mirabelli come nuovo capo osservatori per modernizzare il settore, mentre il Milan in questo mercato ha trattato giocatori giovani, di prospettiva, come Rabiot, Van Ginkel e Lestienne, chiaramente segnalati dagli scout. L’alternativa è puntare sul rapporto tra direttore sportivo e agenti, come il Milan ha fatto nel passato recente e in parte, ovviamente, continua a fare con risultati contraddittori. In giro per l’Italia, invece, c’è chi ricostruisce. L’Empoli aveva osservatori solo per il settore giovanile e deve adattarsi alla A, il Cagliari viveva del rapporto con i procuratori e vuole costruire una struttura.   
Mondo Udinese - Il caso più interessante però è evidentemente l’Udinese. A bilancio mette 2-3 milioni per «costi specifici tecnici» che comprendono in prevalenza attività di scouting. Per una stagione spende qualcosa come 57 milioni, circa cinque volte più della Juve e di tutte le altre squadre di A. Come si spiega? Non facile. Intanto fa mercato anche per Watford e Granada, poi presidia alcuni Paesi grazie al rapporto con agenti e piccoli club. «Andiamo anche in Bulgaria, in Ungheria, dove di solito non si trova nulla», dice Andrea Carnevale, responsabile scouting. Carnevale non lo dice, ma la prima qualità che i suoi cercano è la forza nelle gambe: li vogliono esplosivi. Le plusvalenze degli ultimi anni Sanchez, Asamoah, Benatia, Isla, Pereyra… si spiegano anche così e con le ambizioni (ridotte) del club. L’Udinese può prestare un giocatore a Watford e Granada oppure tenerlo in rosa per anni, permettendogli di crescere senza fretta.   
Juve-Roma-Napoli - E le tre favorite? Calma, arrivano. La Juventus fa un corso ai suoi osservatori, ha un’organizzazione efficiente e due anni fa ha pescato Pogba: lo conoscevano tutti, ma nessuno come la Juve ha avuto coraggio di dare fiducia agli scout e investire. Il Napoli ha una struttura ai minimi termini ma nel 2013 ha scelto Mertens e Callejon, plusvalenze garantite. La Roma vive delle intuizioni del gruppo Sabatini-Massara-Beccaccioli e usa moltissimo Wyscout, software da 3.900 euro al mese (versione «Top») che permette di vedere partite e giocatori di tutto il mondo. Poi, certo, c’è il lavoro sul campo.   
Metodologie - In molte società uno scout segue due-tre campionati. Se segnala un’ala destra, la pratica passa a un collega. Se anche lui alza il pollice, qualcuno si muove e va sul posto. «Tra video e live c’è una differenza enorme – dice Omar Milanetto, responsabile scouting del Genoa-. Io ad esempio guardo l’atteggiamento a palla lontana. I giocatori spesso ti colpiscono istintivamente: è il segnale che cerchiamo». L’Inter così ha preso Pandev: ha mandato un osservatore a vedere un altro nazionale macedone e ha visto lui. L’Empoli così ha pescato Eder, visto per 20 minuti in Brasile e portato in Italia 24 ore dopo per bruciare la Fiorentina.   
Episodi - Il resto sono storie, racconti che passano di osservatore in osservatore per tradizione orale e diventano leggende. Si dice che Gino Pozzo, l’uomo del fenomeno-Udinese, si fermi ore a vedere giocatori su Wyscout, non proprio la tipica attività di chi comanda un club. Qualcuno sostiene che il Napoli abbia elaborato un proprio programma, con linguaggio personalizzato come nei servizi segreti e un server in Italia, per evitare scene da spionaggio internazionale. Altri raccontano che il Como di Preziosi scoprì Messi in Argentina per primo, lo portò in Italia e arrivò a un passo da un accordo da 50mila euro. Storie? Mah, gli scout vedono di tutto, terzini finlandesi e mediani bielorussi: in quella vita il confine tra fenomeno e bidone, tra verità e leggenda non è sempre chiaro. Pare che quegli episodi, ad esempio, siano tutti veri.   

Tratto da: “La Gazzetta dello Sport”, Luca Bianchin   

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