mercoledì 5 giugno 2013

Responsabilità dei genitori per i danni cagionati dal figlio minore impegnato in una competizione sportiva (in specie una partita di calcio)





Cass. civ. sezione III, sentenza n. 26200 del 6.12.2011

“Ritenuto il dovere, ex art. 2048 c.c., dei genitori di impartire ai figli minori una educazione adeguata, personalizzata ed efficace, fondata, soprattutto, sul rispetto delle regole di civile coesistenza nei più diversi rapporti con il prossimo ed, in genere, nello svolgimento di ogni attività extrafamiliare; ritenuto che l'art. 2048 c.c. è costruito in termini di presunzione legale di colpa dei genitori qualora questi ultimi non provino di non avere potuto impedire il fatto lesivo consumato dalla prole; e ritenuto, altresì, che la carenza o l'inadeguatezza dell'educazione e della vigilanza parentali può ricavarsi anche dalla gravità e dalle modalità del fatto illecito commesso dal figlio in seno alle sue relazioni, anche d'ordine sportivo o ricreativo, con i terzi, sono soggetti alla responsabilità prevista dall'art. 2048 c.c. cit., e devono, quindi, risarcire ogni danno provocato dal figlio che, impegnato in una competizione sportiva (partita di calcio ) con coetanei, abbia, a gioco fermo e senza avere subìto in precedenza alcuna aggressione o alcun comportamento sportivo provocatorio o scorretto, colpito, d'improvviso, con una testata violenta e del tutto inaspettata, un componente della squadra avversaria; né vale a liberare dall'obbligo del risarcimento i genitori del minore la loro impossibilità di intervenire nel corso della competizione, o il mancato intervento preventivo, ma del tutto problematico, degli organi sportivi”.
Il fatto. Nel corso di una partita di calcio, un calciatore minorenne veniva colpito con una testata da un giocatore della squadra avversaria – anch’egli minorenne -, mentre il gioco era fermo e senza che in precedenza vi fosse stata alcuna aggressione o fallo di gioco di particolare gravità.
Ciò premesso, occorre anticipare che la sentenza in commento, senza ombra di dubbio, fornisce importanti risposte ad interrogativi in punto responsabilità degli esercenti la potestà genitoriale nel caso di eventi verificatesi durante la partecipazione del figlio minore d’età a competizioni sportive di qualsivoglia genere. 

In particolar modo, la Suprema Corte ha affermato la fallacia del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello di Bologna, che, in estrema sintesi, aveva ritenuto - in particolari contesti spazio temporali - le azioni lesive poste in essere da un soggetto minore non imputabili al mancato o carente esercizio da parte degli esercenti la potestà parentale del potere di vigilanza, in quanto quest’ultimo concretamente non esercitabile per la materiale assenza del minore dalla sfera di custodia del padre e della madre.
Al contrario, la Corte di Cassazione, pur non volendo affatto disattendere il criterio di ragionevolezza all'insegna del quale era stato pure condotto il ragionamento del giudice di seconda istanza, ha dilatato di molto l’analisi dei fatti di causa, chiarendo in specie la concreta portata degli obblighi di vigilanza e di educazione incombenti sui genitori attraverso la suddivisione tra cd. culpa in vigilando e cd. culpa in educando e riconoscendo a quest'ultima un ruolo preminente (cfr. Cass. 30 ottobre 1984 n. 5564).
Muovendo da tale ottica, la Suprema Corte ha ricondotto la responsabilità in analisi alla portata dell’art. 2048 cod. civ., evidenziando come nei confronti del padre e della madre di un minore non ancora emancipato operi una presunzione iuris tantum di colpa, la quale può essere superata soltanto dalla prova contraria di aver correttamente vigilato al fine di impedire il verificarsi del fatto, ovvero di aver impartito ai propri figli una “buona educazione”.

In altre parole, quanto rileva per la Suprema Corte, infatti, non è tanto il potere di custodia considerato in sé e per sé – peraltro oggettivamente non esercitabile in concreto su un minore fisicamente estraneo alla sfera di controllo dei propri genitori -, quanto piuttosto il generico dovere di educare la prole a cui vanno ricondotte le conseguenze giuridiche ed i conseguenti riflessi risarcitori che il mancato assolvimento di tale obbligo sociale e giuridico produce all'interno dell'ordinamento.

In conclusione, quindi, la trasgressione dell'obbligo di educare la prole configura ipotesi di condotta omissiva, come tale idonea ad integrare una responsabilità iure proprio dei genitori per culpa in educando. A seconda delle condizioni del caso concreto, poi, la forma di responsabilità in esame potrà eventualmente coesistere con quella per culpa in vigilando in capo a coloro che condividono, per ragioni contingenti, il potere di vigilanza unitamente agli esercenti la potestà parentale, senza escludere la diretta responsabilità del minore ex art. 2043 cod. civ.

Avv. Nicola Schellino 

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